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27 luglio 2024

Jaeger-LeCoultre Reverso e Corvo: storia di una rinascita

Sarebbe troppo facile celebrare il novantesimo compleanno del Reverso di Jaeger-LeCoultre, che cade in questo 2021, parlando solo dei modelli che il marchio ha presentato quest’anno, dal Reverso Tribute Nonantième all’Hybris Mechanica Calibre 185 Quadriptyque, fino ad arrivare allo Small Seconds con quadrante e cinturino verdi

Troppo facile perché il Reverso Tribute Nonantième con le fasi lunari e la gran data sul quadrante anteriore, insieme all’indicazione digitale semi-saltante dell’ora su quella posteriore, è più che un orologio celebrativo, è un invito a stupirsi. Perché lo Small Seconds verde è un inno alla leggerezza, pur nella sua sobria classicità. Perché l’Hybris, con le sue 11 complicazioni e i suoi 6 anni di sviluppo è il primo orologio da polso al mondo con quattro quadranti funzionanti e dà la misura della “hybris” – alla greca – di Jaeger-LeCoultre: il suo ardimento nello sfidare gli dei della micromeccanica.

Troppo facile, perché la storia del Reverso, o meglio, la storia della rinascita del Reverso è in buona parte italiana, milanese per la precisione. Merito della famiglia Corvo il cui patron, Giorgio Corvo, fondò nel capoluogo lombardo la Corvo & C. nel 1960, sull’onda della sua passione per l’Alta Orologeria e per la manifattura Jaeger-LeCoultre, della quale diventò il distributore per il mercato italiano.

Chi dunque meglio di Michele Corvo, figlio di Giorgio e dal 1997 alla guida dell’azienda, può raccontare come mai senza la sua famiglia, forse, il Reverso sarebbe rimasto un illustre decaduto, chiuso nei cassetti della manifattura di Le Sentier?

Michele Corvo

«Erano i primi anni ’70 e mio padre, in visita in quel periodo alla manifattura, vide alcune casse in acciaio del Reverso degli anni ‘40 senza movimento né quadrante – racconta -. All’epoca Jaeger-LeCoultre aveva un buon appeal commerciale solo per alcuni pezzi come la pendola Atmos, il Memovox, il Lucchetto e poco altro. Viste le casse, mio padre disse al direttore commerciale di allora, che era monsieur Constantin: “Perché non rieditiamo questo orologio, che fa parte della vostra storia e ha avuto un grandissimo successo?”. Constantin gli spiegò che non esisteva nulla che lo potesse riportare in vita, perché mancavano i movimenti, i quadranti ecc., ma mio padre non si perse d’animo: “Datemi una cassa, la porto in Italia”, rispose».

E che cosa successe?

Allora avevamo un buon atelier per il servizio post vendita, con dei bravi tecnici; il nostro capotecnico creò un portamovimento e vi incassò un calibro 480 a carica manuale, un piccolo movimento ovale: inserito nel portamovimento andava benissimo. Così mio padre tornò a Le Sentier mostrando il risultato e dimostrando che il lavoro si poteva fare. Le casse in acciaio che giacevano in manifattura erano circa 200 e, a fronte dell’interesse di mio padre a commercializzarle in Italia, Jaeger-LeCoultre produsse gli orologi replicando in maniera industriale il nostro sistema, che era piuttosto artigianale, con due tipi di quadrante, uno bianco e uno grigio con indici romani. Eravamo nella metà degli anni ’70. Ebbene, gli orologi furono portati in Italia e venduti in pochi giorni a 3-4 clienti importanti tra Roma e Milano.

Jaeger-LeCoultre: Reverso Prototype Corvo

C’era scetticismo da parte di Jaeger-LeCoultre?

All’inizio gli svizzeri erano assolutamente scettici sull’operazione: proprio per questo mio padre portò gli orologi in Italia. Poi, anche dietro la sua insistenza, quando si resero conto che il Reverso rinnovato poteva essere utile a Jaeger-LeCoultre per un rilancio a livello mondiale, un po’ alla volta ne svilupparono il progetto. La produzione dei primi Reverso iniziò nel 1975 con il movimento Calibro 486inserito in una cassa più sottile rispetto alla vecchia e leggermente rivista nello stile. Anche questa non aveva fondo avvitato ma chiuso a pressione e quindi permeabile a polvere e umidità. Il primo Reverso in oro da uomo arrivò nel 1978.

Come mai in manifattura si era lasciato da parte un orologio così simbolico?

Il progetto del Reverso era rimasto in un cassetto perché in manifattura non avevano più il vecchio movimento Tavannes che lo animava: crearne uno ad hoc per l’orologio avrebbe comportato investimenti importanti. Si erano arenati senza avere l’idea di provare a inserire nella cassa un movimento più piccolo. In più, negli anni ‘70 gli orologi richiesti dal mercato avevano la cassa tonda, era difficile vendere quelli con la cassa di forma.

Jaeger-LeCoultre: Reverso Prototype Corvo

Da quanto tempo quelle casse erano inutilizzate?

Credo che giacessero là dal dopoguerra, perché il periodo boom era stato tra gli anni ’30 e ‘40, con l’ultimo Reverso uscito nel 1948. Inoltre quelle casse erano in acciaio Staybrite, precursore dell’inox, per cui risalivano alla metà degli anni ‘30.

Quanto tempo impiegarono in Svizzera a sviluppare la vostra idea?

Nel 1972 ci fu il primo prototipo di “Reverso Corvo”, nel 1975 ci fu il primo orologio realizzato da Jaeger-LeCoultre, all’epoca una delle poche manifatture che potevano costruire al proprio interno sia i movimenti sia le casse. Era un periodo in cui in manifattura lavoravano orologiai di altissimo livello come Philippe Dufour, gente che poi ha fondato marchi propri. Insomma, il know-how c’era, ma tra il successo degli orologi tondi e l’affacciarsi del quarzo sul mercato, il Reverso scontò una forte diffidenza iniziale.

Jaeger-LeCoultre: Reverso Corvo

Come sono stati i primi anni ‘70 per la distribuzione del Reverso? 

La serie Corvo delle 200 casse in acciaio fu venduta ai negozianti che già avevano lavorato con Jaeger-LeCoultre dall’inizio e conoscevano il Reverso; penso ad Hausmann a Roma, Pisa a Milano, anche se il grosso delle vendite del “Reverso Corvo” lo fece Fiumi, che aveva il negozio in via Manzoni a Milano: uno dei primi concessionari del marchio in Italia, nei tempi in cui l’orologeria era a livelli eroici. Non dimentichiamo che Jaeger-LeCoultre non era facile da vendere ai concessionari. Il rilancio del Reverso partì dunque in modo graduale tramite chi già conosceva il marchio e poi via via con gli altri. Il boom vero arrivò a metà anni ‘80 e l’apice negli anni ’90, con il Grand Taille. Negli anni ‘90 il fatturato di Jaeger-LeCoultre cresceva del 25% all’anno trascinato dal Reverso: arrivammo a venderne fino a 7000 in un anno.

Jaeger-LeCoultre: Reverso Art Deco

Come fu all’epoca lavorare con Jaeger-LeCoultre?

Fu un’esperienza molto bella. Iniziai nel 1977 vivendo il rilancio del Reverso nuovo, dopo il “Reverso Corvo”. Con la direzione di monsieur Belmont arrivammo poi agli anni ‘90 in cui c’era molto entusiasmo e la marca crebbe in modo esponenziale. Andare a Le Sentier era sempre molto piacevole, erano molto aperti a suggerimenti da parte nostra sulla politica distributiva e commerciale, tanto che per alcuni modelli e prodotti le indicazioni vennero dall’Italia.

Per esempio?

Penso al Master Compressor: portammo in manifattura un vecchio orologio sportivo Jaeger-LeCoultre che recava un piccolo sigillo con la scritta Compressor sulla cassa e da lì partì lo sviluppo del nuovo orologio. Oppure ancora all’Atmos Atlantis du Millénaire, per la quale fu una nostra richiesta a suggerire a Jaeger-LeCoultre di sganciarsi dalla cassa marqueterie lavorata a mano, carissima, per inserire la pendola in una futuristica cassa in vetro: è stata forse l’Atmos più venduta in assoluto.

In manifattura menzionano ancora i Corvo come artefici della rinascita del Reverso e del brand. Senza suo padre, forse, racconteremmo una storia diversa.

La sua idea fu geniale perché non rilanciò solo un modello, ma anche un brand. Nel 1991 Jaeger-LeCoultre organizzò un’esposizione a Milano per i 60 anni del Reverso, con un excursus sulla storia della manifattura e dell’orologio, per presentare l’edizione dedicata al 60esimo anniversario: la prima con movimento in oro, cassa in oro rosa Grande Taille con riserva di carica e data, realizzata in 500 esemplari. Venne Belmont stesso a inaugurarla e regalò a mio padre il Reverso del Sessantesimo numero 60, perché disse che era il più bel Reverso mai realizzato dalla manifattura.

Jaeger-LeCoultre: Reverso 60th Anniversary

Oltre alla distribuzione, vi occupavate anche di assistenza?

All’epoca sì, per il mercato italiano. Gli orologi non andavano in Svizzera per essere riparati, ma i concessionari italiani li mandavano al nostro laboratorio di Milano. In un certo periodo abbiamo avuto ben otto tecnici orologiai.

Che cosa è cambiato da allora nell’industria dell’orologeria?

Col passare del tempo molti marchi sono entrati in grandi gruppi, migliorando la propria solidità finanziaria, ma perdendo forse la voglia di sperimentare e un po’ di pionierismo. Un tempo, andare in manifattura da Jaeger-LeCoultre era un’emozione, c’era sempre qualcosa di nuovo, scambi di idee a qualsiasi livello su prodotti, strategie… Era un modo diverso di lavorare. Oggi è cambiato tutto, non solo per Jaeger-LeCoultre; trovo che gli attori non abbiano più la passione di una volta, sono ancora bravissimi ma magari arrivano all’orologeria da altri settori e si accostano a prodotti che non conoscono: mancano della parte emozionale. Credo che oggi sia quasi impossibile rientrare a contatto con la creatività ed è più difficile dare consigli; ricordo che una volta si facevano persino dei briefing con noi distributori per decidere che cosa presentare l’anno successivo, mentre ora tutto questo è fantascienza, non si possono cambiare le strategie di marketing né quelle commerciali. Lo ritengo un impoverimento.

Jaeger-LeCoultre: Reverso Chronograph

Ne avrà viste di tutti i colori all’epoca…

Cito un episodio. In manifattura lavorava Eric Coudray, uno tra i tecnici orologiai migliori al mondo, che ha lavorato anche sul Gyrotourbillon e che all’epoca si occupava di prototipi. Quando Philippe Vandel mise a punto sul Reverso la ripetizione minuti con tre martelli, piccolissima e per la prima volta in una cassa rettangolare, Coudray dovette testarne l’affidabilità e mise a punto un sistema semplice: una slitta verticale alta 1 metro e mezzo, dalla quale scendeva un peso di 1 kg con un cuscinetto di gomma che colpiva l’orologio, il quale per essere affidabile avrebbe dovuto funzionare anche dopo la botta. L’idea di farlo su una ripetizione minuti terrorizzò il direttore di allora, ma dopo l’impatto con il peso la complicazione continuò a funzionare. Allora c’erano personaggi incredibili, tecnici pazzeschi che lavoravano in un ambiente molto divertente e libero.

Jaeger-LeCoultre: Reverso Minute Repeater

Qual è la classifica dei suoi Reverso preferiti?

Premesso che tra il Classique e il Grand Taille Jaeger-LeCoultre ha prodotto il meglio, direi: 1 – Cassa Grand Taille nelle varie versioni; 2 – Cassa in oro bianco con quadrante nero e numeri chinoise; 3 – Classique da uomo in oro, il primo fatto per il rilancio del modello; 4 – il modello Corvo con cassa in acciaio, perché è un orologio di famiglia.

Jaeger-LeCoultre: Reverso 70th Anniversary

Le complicazioni sono state introdotte sul Reverso dal modello del 60esimo. Quale fu la reazione del mercato?

Eccezionale quella del mercato italiano. Del Reverso Tourbillon, molto caro per l’epoca, l’Italia da sola assorbì circa 180 pezzi su 500: a conferma del fatto che il nostro era il primo mercato per Jaeger-LeCoultre grazie al gran lavoro fatto proprio sul Reverso. Tra l’altro, con il Tourbillon era la prima volta che il Reverso ospitava una funzione sul lato posteriore della cassa.

Jaeger-LeCoultre: Reverso Tourbillon

Pensa che il Reverso di Cartier abbia dato fastidio a Jaeger-LeCoultre?

La Jaeger, francese, produceva le casse per Cartier negli anni ‘30, fu lei a disegnare il Dumont e i primi Cartier rettangolari braccialati; per loro crearono il Cabriolet, anch’esso reversibile, e altri orologi simili al Reverso tra cui uno quadrato. Per cui direi di no. Negli anni 30 Jaeger-LeCoultre fece anche dei Reverso per Patek Phillippe, con quadrante marchiato Patek Philippe. 

Insomma, un’intervista della quale siamo grati a Michele Corvo. Perché ci ha dato parte del suo tempo, prezioso per tutti, non solo per chi lavora con gli strumenti del tempo. Perché ci ha raccontato una bella storia di famiglia, di quelle che sono il segreto della nostra Italia. Perché ci ha ricordato ancora una volta che proprio l’Italia è stata e continua a essere – oggi, magari, un po’ meno di ieri – un faro per l’industria dell’orologeria. Perché il Reverso di Jaeger-LeCoultre è ancora mitico dopo 90 anni, grazie alla passione delle persone che sanno riconoscere e valorizzare i capolavori dell’orologeria.

By Davide Passoni